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frabarenghi, 03/09/2015 — Non è solo una ripetizione di tutte le buone pratiche che già invitano a non spegnere il cervello; questa riguarda specificatamente la difesa dagli altrui e dai propri lamenti per ragioni prettamente tecniche illustrate nell'articolo che segue e di cui vi copio anche il link; ritengo che i benefici, oltre all'autoconservazione, possano riverberarsi molto in là: dalla qualità della vita al funzionamento di sistemi complessi e fondamentali come sono tutte le amministrazioni, alla consapevolezza al voto... Credo che questa pratica sia utile all'"igiene" personale e della società.
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Lamentarsi rende stupidi, è scientificamente provato
Kristen Grove: Creative producer, autrice e dj
Recenti ricerche scientifiche fatte anche alla Stanford University hanno dimostrato che ascoltare per più di 30 minuti al giorno contenuti intrisi di “negatività” nuoce a livello cerebrale. La lamentela viene processata in quella parte di cervello dedicata alle funzioni cognitive normalmente usata per risolvere i problemi e la sua presenza causa letteralmente una rimozione di neuroni.
Senza prestare attenzione al nutrimento che diamo al nostro cervello i neuroni sono a rischio e il malessere è garantito. Un ulteriore studio di Eurodap sostiene che il 90% degli italiani vive in un costante stato di allarme. I media mettono in primo piano informazioni allarmanti, tragiche e scabrose, fornendo una selezione che può solo incoraggiare gli stati d’ansia e tensione come concimi per la paura, la disillusione e la perdita di speranza. Ma, secondo quanto emerso dalle ultime ricerche, anche l’esporsi a negatività durante quella che dovrebbe essere una semplice pausa caffè, può avere lo stesso effetto “nocivo”. Basti pensare ai tipici monologhi tra colleghi:
“Non se ne può più!”
“Qui non cambia mai niente!”
“Bisogna scappar via subito da questo Paese!”
Per una forma di cortesia o per desiderio di compiacere, ci ritroviamo ad annuire e a subire, e senza nemmeno rendercene conto a rinforzare e incoraggiare lo “stato di lamentela”. Che è molto diverso dal prendere coscienza e condividere la ricerca di soluzioni.
Ecco l’amara verità decretata dalla ricerca: le vibrazioni emesse da chi si “lamenta” in nostra presenza emettono onde magnetiche sui neuroni dell’ippocampo del ricevente (i neuroni risolutori di problemi) spegnendoli. I suoi e i nostri.
I neuroni, i nostri “paladini e soldati dell’intelligenza” vanno in modalità off perché il nostro cervello, che cataloga gli impulsi ricevuti, reputa la lamentela un contenuto di basso livello. E se i neuroni si spengono, non è difficile immaginare quanto questo sia a discapito delle capacità cognitive, intellettive, umorali. Conseguentemente sarà facile perdere colpi in creatività e in capacità di risolvere agilmente i problemi o uscire da situazioni critiche utilizzando inventiva e immaginazione di possibili soluzioni.
Per confermare queste ultime ricerche e anche per avere qualche chiarimento in materia, ho intervistato la Dottoressa Erica Francesca Poli. La dottoressa mi ha raccontato che nutrire il cervello con pensieri negativi equivale a rinforzare le stesse reti neurali che hanno provocato il disagio iniziale, innescando un circolo vizioso da cui poi è difficilissimo uscire. Al contrario è proprio lo sforzo di superare un momento di crisi che crea nuove prospettive e nuove reti neurali.
Neuroplasticità come elisir di giovinezza
Le persone che scelgono consapevolmente di trasformare le cosiddette “crisi in opportunità” sono di fatto i benefattori della neuroplasticità del loro cervello. Veri e propri architetti di reti neurali.
Per sbloccare le situazioni difficili Dottoressa Poli suggerisce di evitare situazioni e persone lamentose per definizione. Oltre al danno cerebrale, più tempo passiamo con una persona negativa, più è probabile che imiteremo il suo comportamento.
E per prevenire quanti penseranno che questo sia il solito post di “positività gratuita”, e che qui non c’è niente di cui essere fiduciosi, e che i fatti sono sotto i nostri occhi… Ecco vorrei dire che: una cosa è avere la capacità di vedere le negatività che abbiamo intorno, e un’altra è vedere le cose negativamente. Abbiamo il nostro cervello, usiamolo per trovare soluzioni alle negatività.
Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando si tratta di rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare.
Giovanni Falcone
di Kristen Grove | 29 luglio 2015
Ciò di cui parli, Don, secondo me è sì un facile atteggiamento dell'essere umano, è sì frutto del "marketing" dell'informazione, ma non riesco a fare a meno di dare una valenza politica al fenomeno (anche se mi scoccia farlo): il "divide et impera" viene attuato in maniera sottile tra di noi, facendo di tutto per impedirci di solidarizzare (giovani contro anziani, italiani contro stranieri, pubblico contro privato, etc...) ma anche facilitando una scissione individuale farcita di paura e insicurezza; il singolo che ha perso l'integrità ha meno iniziativa, ha meno coscienza, perde la fiducia in sé stesso, non sa più del valore delle relazioni, è più manipolabile, delega, mette il proprio spirito in mano al primo che gli promette di sapere cosa farne. Sono del tutto convinta - e non vorrei "inquinare" con le mie idee uno spazio pulito e arioso come questo sito - che la cultura di massa sia perfettamente funzionale a crearci delle dipendenze, in modo da renderci più deboli e bisognosi di quanto non sarebbe fisiologico, e inconsapevolmente. Che la società diventi un lamentificio è un'estensione naturale di questa azione dall'alto.
Sono d'accordo con te Fra. Le tue analisi sono sempre illuminanti. Grazie.