"Ho conosciuto persone senza maschera, ma con il carnevale dentro".
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don_chisciotte, 10/07/2015 — Giu' la maschera. Stop alla cultura dell'apparenza!
Se riconoscete voi stessi ed il mondo e modo in cui vivete in quanto sotto riportato (fonte gioianet.it) e' giunto il momento per voi di applicare questa Buona Pratica. E se lo avete gia' fatto fatecelo sapere con il "'contami" cosi' sapremo di non essere soli! Grazie.
“LA CULTURA DELL’APPARENZA, LA NOSTRA DECADENZA”
Scritto da Nicola Vacca
Non viviamo una crisi economica, è una crisi morale, per questo sarà tanto difficile uscirne”. José Saramago, premio Nobel per la letteratura, qualche giorno prima di morire pronunciò queste parole. Un lascito spirituale per la nostra civiltà in agonia. Parole giuste di un grande intellettuale su cui vale la pena aprire una riflessione. Quando la morale entra in crisi una società non è più in grado di generare intelligenza e diventa sempre più difficile trovare una via d’uscita diversa dalla decadenza.
L’intelligenza è un bene raro nella nostra epoca. Non se ne trova in nessun luogo. È proprio così. Se mi guardo intorno non vedo nessuno che si legge dentro. Ci affatichiamo per costruire la società dell’apparenza. Il culto dell’immagine a ogni costo è quello che conta. Tutto quello che deve emergere è quello che non siamo.
“Devo fabbricarmi un sorriso, munirmene, mettermi sotto la sua protezione, frapporre qualcosa tra il mondo e me, camuffare le mie ferite, imparare, insomma, a usare la maschera”.
Cioran guarda negli occhi la maschera che non riesce a infilarsi e condanna la viltà di coloro che la indossano con estrema facilità perché hanno paura di mostrarsi così come sono.
Oggi quasi nessuno riesce a fare a meno della propria maschera. Si ha talmente paura di farsi vedere a cuore nudo dall’altro, mostrarsi nella propria schiettezza, aprirsi con fiducia, farsi capire per quello che realmente si sente e si prova. Tutto nasce da questo complesso di timori. Siamo soltanto maschere che non hanno il coraggio di essere.
Non ci interessa l’essenza delle cose, ma il loro apparire. Preferiamo amarci male, che mostrare il volto vero dei nostri sentimenti. Sui luoghi di lavoro, come nelle relazioni sociali è più comodo indossare un’esistenza che non sia la nostra. Mostrare la propria con i suoi difetti e le sue fragilità è a dir poco sconveniente.
Siamo maschere che mentono, fedeli seguaci dell’apparenza e delle convenzioni. Abbiamo paura di conoscere noi stessi, e soprattutto riteniamo pericoloso che gli altri possano conoscerci per quello che in realtà siamo.
Indossando la maschera siamo gli artefici del grande inganno che mistifica tutto. Che fa diventare il tutto un cosmico niente.
La maschera uccide noi stessi e il mondo. Ma preferiamo non abbassare la guardia, non mostrare quello che siamo capaci di fare con il nostro cuore messo a nudo. Gli altri non devono sapere come siamo fatti davvero dentro. Dobbiamo mentire per guadagnarci un posto al sole nella società che giudica dalle apparenze.
Una maschera tira l’altra. Siamo un’inciviltà di maschere che si consuma nella menzogna.
Così tutto ci sembra perfetto, fabbrichiamo un sorriso tra il mondo e noi stessi, mettiamo sempre la parte peggiore di noi, che è il modo migliore per essere accettati in società.
Preferiamo essere uno nessuno e centomila, piuttosto che vivere un giorno di solitudine insieme alla parte più intima di noi.
“Come mai ci sono cosi poche persone perbene? Ne ho abbastanza di questi abbozzi di umanità, di queste caricature, di questi esseri riusciti a metà”.
Cioran, ancora una volta, pugnala con le sue parole questo nostro tragico tempo dell’apparenza, nel quale difficilmente avremo il coraggio di rinunciare alla maschera.
È sufficiente tutto questo per affermare che una civiltà sente vicina la propria fine. Direi proprio di sì. Chiamate il prete, è ora di celebrare il funerale del nostro tempo che si è spento perché nessuno ha avuto il coraggio di chiamare le cose con il loro nome.
Comincia subito il tuo diario delle buone pratiche green.
Dai il Contami e migliora goccia a goccia le tue abitudini.
"Ho conosciuto persone senza maschera, ma con il carnevale dentro".
Qui albanesi.it un bel trattato sulle persone definite apparenti. Se ci riconosciamo in qualche modo e' meglio fermarsi e riflettere un po' per cambiare il nostro stile di vita
Chi fa dei debiti per cose futili non ha mai faticato per guadagnarsi da vivere. Io conosco il valore dei soldi perchè ho fatto lavori per cui mi sono guadagnata fino all'ultimo centesimo e non mi importa niente se non faccio le vacanze alla moda. E' dall'agosto 2003 che non posso fare una vacanza come si deve (e anche allora la mia "vacanza" consisteva in una giornata a Camogli) e non me ne vergogno affatto. Semplicemente non me lo posso permettere. Anche a me non piacciono questi tipi di maschere, ma non posso non pensare che tutti più o meno abbiamo delle maschere. Io di sicuro. La mia è dettata dal bisogno di non far vedere la mia fragilità. Per far vedere il mio cuore nudo devo fidarmi completamente di una persona. Devo dire però, che la mia è sempre una maschera sincera, mai falsa. A volte lascio che la gente pensi di me quello che le fa piacere... mi spiego... Io purtroppo non sono religiosa e avevo una collega di lavoro che ogni anno andava a Lourdes. Quando le parlavo, le dicevo che approvavo quello che faceva perchè la faceva stare bene. Un giorno è arrivata dicendo che cercava di prenotare un biglietto anche per me!!!! Le ho detto di no perchè non ero credente e lei c'è rimasta male. Vedi: io ero sincera, provo un po' di invidia per chi ha fede, ma involontariamente avevo una maschera...o forse era lei che vedeva quello che voleva. Sono tipi diversi di maschere. Il mio sorriso non è mai fabbricato, ma a volte sento che è dettato dalla paura. Come se volessi dire: "Ti sorrido, sono dalla tua parte, non farmi del male" è una cosa un po' estrema, ma in fondo è così. A volte invece è per farmi forza: "Sorridi sempre anche se il tuo sorriso è triste, perchè non c'è niente di più triste di un viso che non sa sorridere". Tu cosa ne pensi? Devo farmi vedere da uno bravo? Grazie per questa tua nuova buona pratica, è un'occasione in più per riflettere su noi stessi.
Quanti soldi, quasi sempre presi a prestito, sono finiti in futilità, ovvero in tutti quei beni di consumo, durevoli e non, acquistati esclusivamente per la necessità di apparire, necessità indotta dalla pubblicità sia diretta sia indiretta o occulta? La risposta non è semplice dato che i molti studi in materia danno risultati anche non poco diversi. Comunque è ragionevole sostenere che negli ultimi 20 anni cifre impressionanti rispetto ai redditi sono finite in “futilità” o comunque in oggetti non necessari acquistati esclusivamente per apparire.
Dunque l’apparenza è divenuta un bisogno primario dell’uomo contemporaneo che vuole costruirsi una maschera pirandelliana per sembrare più adeguato, o conforme e comunque meglio amalgamabile alla società dell’immagine.
L’essere ha subito la peggiore sconfitta di tutti i tempi da parte dell’apparire. Il sembrare altro, l’apparire simili ai “divi” televisivi, l’essere uniformati negli usi e nei costumi così da far parte del sistema, del gruppo, è divenuto il modo più comune per affrontare la vita o meglio per non affrontarla.
Quindi via all’emulazione della bella ragazza in prima pagina sulle riviste patinate, via all’acquisto dell’auto guidata dal calciatore di turno, via a lampade su lampade per assomigliare al conduttore di successo. Ecco, in questo si è trasformata la società contemporanea, in tanti, innumerevoli, orridi “assemblati” in specie di “subumani” per nulla interessati alla conoscenza, alle facoltà intellettive ed all’introspezione. E se per assomigliare agli stereotipi è necessario indebitarsi fino al collo, che importa!
Purtroppo però la società dell’apparenza nasconde la società della solitudine e dell’apogeo della pochezza. L’indossare troppo a lungo una maschera porta alla dimenticanza di chi si fosse in origine, porta alla fine dell’essere.
Anche questa è stata una delle cause principali, assieme all’avidità sfrenata, che ha portato il sistema ad incepparsi.
Fonte: mobile.agoravox.it
Ricordo il piu' famoso aforisma relativo al consumismo ed alla conseguente cultura dell'apparenza che lo alimenta:"Nei Paesi ricchi il consumo consiste in persone che spendono soldi che non hanno, per comprare beni che non vogliono, per impressionare persone che non amano". (Joachim Spangenberg, Vicepresidente del SERI, Sustainable Europe Research Institute)
Ciao Silvana Francesca il tuo ragionamento e' molto piu' profondo rispetto a quanto intendevo dire con questa Buona Pratica. Io mi riferivo piu' al lato effimero dell'apparenza. Quello delle cose futili, del voler far parte a tutti i costi di un certo status, ostentando cose e stili di vita al di sopra delle proprie reali possibilita', per sentirsi in qualche modo appagati, considerati dagli altri. Tutto cio' secondo me e' sbagliato. Relativamente ai sentimenti, sopratutto quelli negativi, diventa tutto un po' piu' difficile. Quelli li riserviamo alle persone piu' care e di fiducia, a cui confidiamo fragilita' e paure che fanno parte del DNA umano, mentre agli altri li nascondiamo e puo' essere un atteggiamento naturale. E' anche vero pero' che quasi nessuno nasconde di essere felice mentre spesso la tristezza, la solitudine, etc si tendono a mascherare. E quindi c'e' un comunque nesso perche' a volte tristezza e solitudine vengono mascherate dall'apparenza effimera, per dare l'idea agli altri di essere una persona diversa da cio' che veramente si e' dentro. Ed anche questo non va bene. Ma ripeto, se le nostre paure e fragilita' le riserviamo solo a pochi intimi, credo che sia una cosa normale.
Condivido ogni parola del testo proposto e dei commenti successivi. Capisco bene cosa vuoi dire Silvana: questa cosa in particolare della fede o non fede la sento particolarmente, e (rispettando tutti gli orientamenti a prescindere, perché penso che la libertà di pensiero e fede sia la base imprescindibile per la pace) ho notato che rimangono (anzi ce ne sono sempre di più) tantissimi pregiudizi che tendono a dividere le persone, per questo a volte non esprimiamo in modo chiarissimo e subito la nostra posizione. La paura di non essere accettati a volte è così forte che non ci fa essere noi stessi fino in fondo. Ma se le contraddizioni riguardano aspetti profondi che sono in divenire e su cui "stiamo lavorando" è anche normale non essere sempre e solo o bianchi o neri, penso faccia parte del nostro essere persone e non sassi, per fortuna! Il brutto è quando la nostra libertà viene annullata dalle maschere del tutto esterne a noi e che noi stessi ci mettiamo addosso: temo che ne risulti una vita falsata che a lungo andare chiederà il conto. Per quanto riguarda il sorridere sempre, invece, ho cambiato idea da un po' di tempo: prima ero anche io "sorrido-sempre" e mai far vedere un disagio perché "non ho diritto di lamentarmi, e non voglio dar fastidio" ecc. ora invece, al di là del sorriso di empatia e di gentilezza ché quello ci vuole, certo, se mi chiedono se sono felice e in quel momento/situazione non lo sono, riesco a dirlo serenamente, senza fare lagne o piagnistei chiaramente, ma un "sono preoccupata" o "c'è qualcosa che non va" ho visto che può molto di più rispetto a un falso "va tutto benissimo", e anche questa è una maschera in meno (e il corpo ringrazia perché i disturbi psicosomatici da "verità negate" sono deleteri!).