Consumismo

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don_chisciotte don_chisciotte, 08/01/2014 — Con questa Buona Pratica non dico nulla di nuovo ma ogni tanto e' giusto ricordarlo... Stop al consumismo! E' ora di dire basta! Anzi e' ora di smetterla anche di dirlo, facciamolo! Stop all'acquisto sfrenato di prodotti fini a se stessi, costruiti solo per essere distrutti o sostituiti in breve tempo perche' se si rompono non si possono piu' aggiustare (obsolescenza programmata) o perche' non sono piu' di moda in quanto e' uscito "l'ultimo modello" (obsolescenza percepita). Riprendiamoci la nostra dignita' di persone che sono valutate per quelle che sono e non per quello che hanno (o per quello che appaiono...) e cioe' degli esseri umani prima di tutto e non dei semplici "consumatori". Riscopriamo i veri valori della vita e le nostre tradizioni, abbiamo bisogno di incontrarci di piu', di parlarci, di aiutarci a vicenda. Ci stanno togliendo anche le piazze perche' vogliono che andiamo solo al centro commerciale...l'unico punto di incontro secondo "loro". E' fondamentale che le madri possano stare con i loro piccoli e non "parcheggiarli" all'asilo nido perche' devono andare a lavorare per guadagnare i soldi con cui poi comperare beni non durevoli e comodita' superflue. Ci siamo fregati! Ce ne stiamo accorgendo? Costretti a lavorare, sempre di piu', per garantirci una vita piena di benessere che e' solo apparente quando per vivere bene non serve l'ultimo modello di cellulare o il mega televisore con schermo al plasma pagato a rate o il vestitino firmato per nostro figlio...Siate orgogliosi quando vi additano come retrogadi, non aggiornati, tecnologicamente incapaci, fuori moda perche' non siete "in" ma "out" etc etc siate orgogliosi perche' voi sapete amare, sorridere, meravigliarvi di fronte ad un tramonto...e aiutare il prossimo. Ed e' molto piu' difficile saper amare il prossimo che imparare ad usare l'ultimo modello dell'Iphone!

Vi riporto uno scritto di Simone Perotti relativo al suo libro "Stop all’egemonia del consumismo, ritorniamo a essere belli" che non ho letto ma mi è bastata questa presentazione per capire tutto perfettamente. Fatelo girare tra amici e conoscenti perchè più velocemente ne prendiamo atto più velocemente saremo veramente liberi!

Dagli anni ’70, dopo aver risolto le questioni di primaria necessità del dopoguerra, non abbiamo fatto altro che generare e inseguire bisogni immaginari. Ben assistiti dalla macchina del consumo e da quella mediatica, la nostra società, la nostra cultura, hanno spostato giorno per giorno sempre più in là l’asticella del benessere, sostenendo che sempre più condizioni, sempre più oggetti, sempre più servizi fossero necessari per acquisirlo e mantenerlo. Pubblicità e informazione hanno reso questi concetti immaginario collettivo, e tutti, più o meno, abbiamo iniziato a inseguire quelle icone. Per farlo, anche in periodo di crescita economica, è stato necessario mettere in secondo piano ogni cosa. Se l’acquisizione di beni era il fine, lo strumento era il denaro e l’unico modo per produrlo: il lavoro. Con un lavoro da 40, 50 ore a settimana sulle circa 60 diurne disponibili e con il denaro che ne fruttava, abbiamo iniziato a sentirci felici, inseriti, moderni. Non ci sfiorava neppure il sospetto che il costo di questo benessere fosse eccessivo. Non ci siamo neppure posti il problema che si trattasse davvero di benessere. Il mondo nordoccidentale non è in decadenza solo perché la politica è fallita. Decade per l’egemonia della cultura mercantile, che è stata fin qui incapace di perseguire altro che la produzione di beni, la loro promozione, distribuzione, vendita, senza che vi fosse un’armonizzazione tra questo e il resto: il tempo che corre e non torna, le relazioni con se stessi e gli altri, l’equilibrio psicologico e spirituale, l’armonia con l’ecosistema circostante. La cosa più grave a cui assistiamo oggi è che l’immagine di milioni di persone che passano il loro tempo libero nei non-luoghi dei centri commerciali non pare penosa a tutti, non genera riprovazione, commiserazione, disgusto. Per cambiare il nostro Paese, non serve cambiare le leggi. Non servirà, almeno, fino a che non sarà mutata la cultura che le ha espresse. Occorre fare un passo avanti per superare il vero ostacolo alla crescita e alla salvaguardia del Pianeta, e cioè il consumismo e l’egemonia della cultura mercantile economica e finanziaria che, da tempo, si è sostituita alla politica e fa da metronomo di ogni attività umana. Per farlo, ottenendo subito il risultato di vivere diversamente, in modo più efficiente e soddisfacente, occorre togliere la propria spalla dalla portantina su cui noi, ogni giorno, portiamo in trionfo il Sistema. Occorre togliere tutto il possibile dallo spazio dei bisogni, lasciando che la presenza o meno di simboli e ruoli nella nostra vita sia accessorio, secondario, trascurabile. Occorre impiegare solo parzialmente il tempo per la produzione di reddito, il minor tempo possibile, e sfruttare le risorse solo parzialmente per la produzione di beni accessori. La terra, come il tempo, devono essere sfruttati quanto basta per produrre e quanto è necessario per rigenerarsi e vivere in dimensioni lontane dalla convenienza e dallo sfruttamento. Individualmente, il prima possibile, possiamo cambiare le proporzioni della nostra vita, e facendolo cambiare quelle del sistema sociale ed economico. Vivere per consumare, per sprecare, per impressionare, con denaro che ci costa troppa vita guadagnare, che spesso non abbiamo, e che depaupera troppe risorse, non ha senso. Soprattutto non è bello. Ecco: tutti rivolti alla produzione, al lavoro, al consumo, abbiamo smesso di essere belli. Forse, con un po’ di amor proprio, è necessario tornare a occuparci della nostra bellezza”.

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Demoralizzati a vita, il prezzo della felicità illusoria dei consumi

[Traduzione a cura di  Carolina Carta  dall’articolo originale di John F. Schumacher pubblicato su openDemocrac]

La nostra discesa nell’ Era della Depressione  sembra essere inarrestabile. Fino a tre decenni fa le prime avvisaglie di depressione comparivano intorno ai trent’anni. Oggi l’età media è scesa ai 14. Studiosi come  Stephen Izard  della Duke University segnalano che, nelle società industrializzate dell’Occidente,  il tasso di depressione raddoppia ogni due generazioni.  A questo ritmo, oltre il 50% delle generazioni più giovani, tra i 18 e i 29 anni, soccomberà sotto il peso della depressione già a mezz’età. Considerando l’attuale tendenza, si ipotizza che nella prossima generazione praticamente tutti potranno essere potenziali vittime della depressione.

A differenza di molte culture tradizionali in cui questa malattia è totalmente assente – e in cui non esiste nemmeno un vocabolo per definirla – la  cultura consumistica occidentale  è sicuramente più soggetta a sviluppare la depressione. Un termine di uso comune per descrivere una condizione mentale che dovrebbe però essere interpretato in maniera diversa. In realtà, infatti, la maggior parte delle persone a cui è stato riconosciuto uno stato patologico di depressione non rientra perfettamente nei criteri diagnostici della malattia.  Ramin Mojtabai  della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health ha condotto  lo  studio più importante a riguardo, esaminando un campione di oltre 5.600 casi e riscontrando che soltanto il 38% dei pazienti aderiva strettamente ai criteri di depressione.

Contribuisce a creare tale confusione  l’insidiosa epidemia di “demoralizzazione  che affligge la cultura moderna. Dal momento che alcuni sintomi sono in comune con la depressione, si tende a etichettare la demoralizzazione in modo errato e a trattarla come depressione. Lo  scarso successo dei farmaci anti-depressivi , efficace solo nel 28% dei casi, è da attribuire al fatto che un’alta percentuale dei casi di depressione sono in realtà casi di “demoralizzazione”, che dunque non rispondono alle cure.

Un disordine esistenziale

In passato, la nostra idea di demoralizzazione era limitata a specifiche situazioni estreme, come lesioni fisiche debilitanti, malattie terminali, campi di prigionia, o tattiche militari che andavano contro ogni morale. Ma c’è anche una varietà culturale che può esprimersi in maniera molto più sottile, e svilupparsi nascondendosi dietro la  normale routine della vita di tutti i giorni , sotto le spoglie di patologie della nostra cultura odierna. La demoralizzazione, generata culturalmente, è praticamente impossibile da evitare per il consumatore moderno.

Piuttosto che un disordine di natura depressiva, la demoralizzazione è un disturbo esistenziale associato al  collasso della “mappa cognitiva” della persona. È una  crisi psico-spirituale  complessiva che disorienta le sue vittime e le rende incapaci di assegnare il giusto significato e il giusto scopo alle cose, e di trovare fonti di soddisfazione personale. Il mondo perde di credibilità e quelle che prima erano ferme convinzioni, si dissolvono ora nel dubbio, nell’incertezza e nella perdita di orientamento. Insorgono quindi frustrazione, rabbia e amarezza insieme ad un sotteso senso di aver perso una battaglia. La definizione “depressione esistenziale” non è appropriata dal momento che, a differenza delle forme più comuni di depressione,  la demoralizzazione è una risposta realistica alle circostanze che influenzano la vita della persona che ne è vittima.

La cultura dei consumi  impone numerosi fattori di influenza che indeboliscono le strutture della personalità minacciando la capacità di lottare e gettando le basi per una potenziale demoralizzazione. Le sue caratteristiche portanti – l’individualismo, il materialismo, la competizione sfrenata, l’avidità, la tendenza a complicare le cose, il troppo lavoro, la frenesia, i debiti – si ripercuotono negativamente sulla salute psicologica e sul benessere sociale. Il livello di intimità, fiducia e amicizia tra le persone è colato a picco. Sono venuti meno il buon senso, il supporto sociale e comunitario, il conforto spirituale, la crescita intellettuale e l’educazione alla vita. La passività e l’ampia disponibilità di beni hanno rimpiazzato creatività e competenze. Alcuni tratti caratteristici della resilienza, come la pazienza, la capacità di controllo e la forza d’animo, hanno lasciato il posto a una generale scarsa attenzione, agli eccessi e ad un approccio alla vita autoreferenziale.

Studi dimostrano che, a differenza del passato, la maggior parte della gente è oggi incapace di trovare una qualsivoglia forma di  filosofia di vita , o una linea di valori. Senza una  bussola esistenziale  la mente soggiogata dalla commercializzazione gravita attorno alla  filosofia del futile”  – così ribattezzata da Noam Chomsky – nella quale le persone, schiacciate dal peso del loro ruolo di consumatori malleabili, si sentono spogliate del proprio potere e del proprio valore. In questa condizione di mancanza di sostanza, di spessore, e di deriva dagli altri e da sé stessi,  il sottile e fragile “Io” del consumatore  è facile da frammentare e da abbattere.

I principi organizzativi fondamentali e le pratiche della cultura del consumatore fanno sì che si perpetui un  vuoto esistenziale , l’anticamera della demoralizzazione. Non sorprende che questo vuoto interiore venga spesso vissuto come una  noia cronica da cui non si può fuggire. Sebbene in superficie appaia il contrario, l’era dei consumi è estremamente noiosa. La causa della noia non è ascrivibile all’attività in sé, che può essere intrinsecamente noiosa, ma al fatto che è  priva di significato per la persona che la svolge. La vita del consumatore è imperniata sull’eccesso di desiderio per beni materiali insignificanti, ed è per questo avviluppata nella noia, nel cinismo, nella disaffezione, nell’insoddisfazione. Si evolve così in  noia esistenziale , in cui la persona trova tutto monotono e non appagante.

Il consumismo di per sé genera una  spirale motivazionale fallace per la società. La realizzazione continua dei desideri ha l’unico effetto, in totale assenza di limiti, di assuefare le persone e di smorzare ogni potenziale soddisfazione per ciò che viene consumato. La persona scivola così nell’”anedonia  del consumatore” , laddove il consumo perde di ogni potere di gratificazione e offre soltanto un’effimera distrazione, assumendo un valore rituale.  Consumismo e torpore psichico sono perciò irriducibili alleati.

I modelli individualistici della mente hanno ostacolato la comprensione di molti disturbi che affondano le proprie radici prima di tutto nella cultura. Gli ultimi anni hanno visto un crescente interesse verso argomenti di salute e di malattie culturali dal momento che hanno un effetto diretto sul benessere generale. Allo stesso tempo ci si sta progressivamente distaccando dai modelli comportamentali, tornando piuttosto all’ovvia constatazione che  l’essere umano ha una natura essenziale , così come una serie di bisogni umani ben definiti, che devono essere

indirizzati da un’impronta culturale. Nel suo pionieristico libro “ The Moral Order”  [“L’Ordine Morale”, NdT], l’antropologo  Raoul Naroll  usa il termine “ rete morale”  per indicare l’infrastruttura culturale necessaria per il benessere mentale dei propri membri. Fornisce diversi esempi per dimostrare che una società intera può essere predisposta a una serie di disturbi mentali laddove la sua “rete morale” si deteriori. Per evitare una simile situazione la rete morale di una società deve essere in grado di adempiere ai principali bisogni – psicologici, sociali, spirituali – dei suoi componenti includendo un  senso di identità e di appartenenza , un’attività di cooperazione che crei un legame tra i membri di una comunità, rituali e credenze che offrano un orientamento esistenziale credibile.

Analogamente, nel saggio “ The Sane Society”  [(nella versione in italiano, “Psicanalisi della società contemporanea”, NdT], Erich Fromm menziona lo “schema di orientamento” come uno dei nostri vitali “ bisogni esistenziali”. Tuttavia, fa notare che le “pedine del marketing” dei nostri giorni sono vincolate a un programma culturale che blocca attivamente la realizzazione di varie necessità, inclusi il bisogno di appartenenza, d’identità, di trascendenza e di stimolo intellettuale. Viviamo in una condizione di “ follia culturale” , un termine che si riferisce ad una collisione patologica tra le strategie di acculturazione di una società e i bisogni intrapsichici dei suoi membri.  Essere normali non è più un’ambizione salutare.

La natura umana è virata sempre più verso una  sociopatica macchina del marketing  dominata da priorità economiche e manipolazione psicologica. Non si era mai visto prima un sistema culturale che obbligasse i propri membri a sopprimere quasi totalmente la propria umanità. A guidare l’ostile ribaltamento della psiche collettiva sono le industrie di propaganda e disinformazione che, in modo sempre più sofisticato, veicolano  l’illusione di una felicità amplificata dalle aspettative del mondo materiale. I consumatori odierni sono senza dubbio i più influenzati dalla propaganda in tutta la storia dell’uomo. Un effetto ipnotico e ripetitivo, che riduce le capacità critiche e altera il senso di sé stessi, e trasforma la realtà fittizia del consumismo in un surrogato del senso e dello scopo della vita.

Più ci si sente persi, disorientati e spiritualmente sconfitti, più si diventa suscettibili alla persuasione e si accettano le  esagerate aspettative del consumismo. Ma in una realtà fittizia, le prospettive gonfiate all’inverosimile spesso contrastano con la tangibile verità dell’esperienza. Dal momento che nulla è mai all’altezza delle aspettative, il mondo del consumatore è un continuo esercizio del disappunto. Mentre la maggior parte delle delusioni sono minime ed è facile prendervi le distanze, queste si accumulano in un  bagaglio emozionale fatto di frustrazione , in cui le necessità umane più profonde vengono trascurate.

Impermeabilità culturale

Principalmente, la demoralizzazione è una perdita di credibilità nei pilastri portanti della nostra esistenza che guidano le nostre azioni. I presupposti che mantengono viva la nostra lealtà al consumismo sono vulnerabili, dal momento che sono particolarmente  disumanizzanti. Man mano che questi vengono allo scoperto, diventa sempre più difficile identificarsi con nuovi valori, nuovi obbiettivi e nuove ambizioni che hanno fatto parte della realtà del consumatore. La sensazione immediatamente successiva è quella di sentirsi in qualche modo abbandonati e di aver fatto una scelta di vita sbagliata: questo stato emotivo viene spesso scambiato per depressione o per infelicità, mi si tratta di fatto di una forma di demoralizzazione che qualsiasi consumatore vive sulla propria pelle.

Per le generazioni più giovani, il decorso della noia, della delusione, della disillusione e della demoralizzazione è praticamente inevitabile.  Frutto di genitori invisibili , di un’educazione industrializzata, di un marketing di stampo “dalla culla alla tomba”, di un programma culturale estremamente noioso e malsano, i giovani devono inserirsi in una cultura consumistica con la consapevolezza che questa distrugge il pianeta e minaccia il loro futuro. È quindi comprensibile che si siano trasformati in quella che è la “ trance generation” , che ha un  insaziabile appetito per una tecnologia che riduce la consapevolezza  e smussa le emozioni. Con una società in piena crisi esistenziale e una vita emotiva in caduta libera, la “trance” è al momento la fascia di consumatori più in crescita del mercato.

Una volta che le nostre certezze si sono sgretolate e si dà spazio alla demoralizzazione, il problema diventa come ricostruire le fondamenta, insite nel subconscio, che sorreggono la nostra vita. La psicologia e la psichiatria servono a poco, nella loro forma attuale, a curare  disturbi che sono a tal punto radicati nella cultura e nella normalità. Mentre la terapia individuale non curerà una società demoralizzata, per rendere effettivi i trattamenti sarà necessario adottare un approccio orientato a un’analisi profonda e focalizzata su ciò che, culturalmente, genera certi presupposti, sul senso d’identità, sui valori e su ciò che è importante. La “ deprogrammazione” culturale  è essenziale, insieme a una “ impermeabilità culturale” , a mettere in pratica un’educazione alla disobbedienza e strategie di crescita personale, tutte mirate a costruire una visione del mondo che meglio connette la persona a sé stessa, agli altri e alla natura.

Il compito vero e proprio è quello  trattare una cultura malata piuttosto che gli individui  che ad essa appartengono. Erich Fromm sintetizza così questa sfida: “Non possiamo riportare le persone in salute semplicemente facendo in modo che si adattino alla società.  Ciò che serve è una società che si adatti ai bisogni delle persone”. La soluzione di Fromm prevede un Consiglio Supremo di Cultura che funga da sovrintendente culturale e consigli i Governi riguardo ad azioni correttive e preventive. Ma questo stratagemma ha ancora parecchia strada da fare, dato che si tratta di una scienza di cambiamento culturale.  La democrazia nella sua guisa attuale è un guardiano della follia culturale.

La  rivoluzione culturale  che rinnoverà il processo politico, economico, le policy del lavoro, della famiglia e dell’ambiente, giunge comunque tardiva. È vero che una società di gente demoralizzata difficilmente si ribellerà, anche se siede su un enorme cumulo di frustrazione repressa. Ma la  fiducia  fa da contrappeso alla demoralizzazione, e questa frustrazione può trovare sfogo con una grande energia quando all’equazione si aggiungono una  causa o una leadership credibili.

Sembra che questa fiducia, insieme a un’azione propositiva e significativa, deriverebbe dalle ripetute minacce alla nostra sicurezza e sopravvivenza posta dall’ incongruenza fatale tra la cultura consumistica e i bisogni del pianeta. Il problema è che non si è rimarcato abbastanza il grado di demoralizzazione che infetta l’era del consumismo. Con un’infrastruttura fortemente consolidata e una forza di opposizione minima, tutto fa pensare che il nostro sistema obsoleto – talvolta denominato “ capitalismo del disastro”  – terrà banco fino a che non sarà una catastrofe globale a indirizzarci verso nuovi orientamenti culturali.

Fonte: vociglobali.it

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NO AL CONSUMISMO!

Ecco riassunto in due parole ciò che afferma lo psicologo e docente di Psicologia cognitiva all’Università di Venezia, Paolo Legrenzi nel suo libro “Frugalità” (edizioni Mulino).

La parola frugalità indica una scelta consapevole di chi sa che non si può continuare a consumare le risorse del mondo con i ritmi degli ultimi decenni.

L’uomo è vissuto per millenni in un ambiente ostile e ha lottato per la sopravvivenza e ciò ha comportato un suo atteggiamento di predatore verso le risorse naturali. Ma oggi, in tempo di crisi non può andare avanti così. L’uomo deve abitare nel presente e proiettarsi nel futuro puntando su: ambiente, educazione, ricerca, arte e scienza.

FRUGALITA’

La parola frugalità sul dizionario viene definita così: frugalità s. frugalita [dal lat. frugalĭtas -atis]. – [l’essere frugale] ≈ continenza, moderazione, morigeratezza, parsimonia, semplicità, sobrietà, temperanza. ↑ austerità.

L’etimologia ci porta a vedere il frugale come chi si cibi dei frutti della terra che lui stesso coltiva: una sobrietà, quindi, contenuta da quel che si produce che sia bastevole alla vita – lontano dagli eccessi industriali, dai fasti esotici. Una morigeratezza che rinsalda l’umiltà in quanto contatto con la terra.

Sarà frugale un pasto consumato da soli all’aperto nella brezza serale dell’estate, guardando le nuvole che si incendiano di tramonto, gustando pomodori, olio e basilico; sarà frugale una festa con pochi amici, il vino del contadino e buona musica, in cui ognuno si senta ospite accolto; saranno frugali le abitudini misurate del vecchio nonno, che guarda con diffidenza le novità del terzo millennio e si sposta sempre in bicicletta.

Per me, frugalità assomiglia di più alla parola semplicità. Una voglia di “leggerezza” del corpo e dello spirito. Ma che cos’è la frugalità?

PRESA DI COSCIENZA

Frugalità non significa povertà. Poveri lo si è per condizione mentre frugali lo si diventa per scelta contro il consumismo. Chi è frugale non lo diventa per risparmiare e quindi non può essere definito avaro. Frugale è la persona che ha preso coscienza che è uno stile di vita in opposizione al modello di vita della maggioranza. Significa rinunciare a molte cose senza che questo diventi un sacrificio.

“L’abitudine al poco è un’ottima strategia per affrontare le incertezze e le difficoltà che molto spesso la vita ci pone sul nostro cammino”, questa affermazione è l’insegnamento che ho tratto dopo aver letto il libro di Hanry David Thoreau “Walden” (Vita nei boschi edizione Bur), dove viene descritto il resoconto dell’avventura dell’autore che dal 1845 dedicò per ben due anni, due mesi e due giorni della propria vita nel cercare il rapporto intimo con la natura in una società che non rappresentava ai suoi occhi i veri valori da seguire, ma soltanto l’utile mercantile. Thoreau voleva dimostrare che l’uomo riesce a vivere anche in condizioni di povertà materiale e, anzi, da questa può trarre una maggiore felicità imparando ad apprezzare maggiormente le piccole cose. (Il libro fu scritto durante il soggiorno in una capanna, costruita in gran parte da solo, sulle sponde del lago Walden, vicino alla cittadina di Concord, nel Massachusetts).

EDUCAZIONE CONTRO IL CONSUMISMO

Essere frugali significa essere più preparati ad affrontare tutto quello che la vita ti dà, nel bene e nel male, giorno dopo giorno, e che i consumi ridotti non sono solo il fine, ma la strada per raggiungere qualcosa di più profondo.

“Un uomo è ricco in proporzione al numero di cose di cui può fare a meno”. Affermava Henry David Thoreau.

Come possiamo rinunciare a consumare oggetti che il mercato ci impone come sempre più desiderabili anche se sappiamo che perderanno appeal in poco tempo costringendoci a cambiarli con altri alla moda?

La frugalità è un’educazione al non spreco, ma non si può imporre come ideologia. La frugalità non è un diktat, non ha niente a che fare con il fatto di tornare ad uno stile di vita di 20, 30 o 50 anni fa. La frugalità è uno stato di pulizia ed essenzialità che da grandi soddisfazioni a chi la pratica.

RALLENTIAMO

Impariamo a recuperare il senso del nostro tempo, riconciliamoci con i gesti che compongono le nostre giornate, rinunciamo agli sprechi. Smettiamo di vivere per produrre, per acquistare beni che non ci servono e restare inseriti in un mondo che ci accoglie solo per ciò che abbiamo.

Mentre sprechiamo quel che siamo in questa occupazione, i nostri anni volano via, le nostre passioni sbiadiscono, i nostri sogni muoiono nei cassetti.

Rallentiamo! Recuperiamo il nostro prezioso tempo per approfondire la conoscenza delle nostre passioni e dedicarci ad esse.

RICONOSCIAMO I VERI VALORI

La felicità, il benessere, la qualità della vita non hanno alcuna relazione con la ricchezza materiale. Possedere molto non significa stare bene.

Dalla crisi di oggi, ambientale, energetica, morale e politica ed economica, si potrà uscire sela società del futuro saprà accogliere un sistema di vita e di valori fondato sui rapporti tra le persone, sul consumo responsabile, sul rifiuto del superfluo.

Come fare? Prima di acquistare qualsiasi oggetto o servizio, mi domando sempre: “Ho bisogno davvero di questa cosa? Mi serve questo servizio?”. Bisogna resistere alle sirene del consumo. Bisogna insegnare ad essere frugali ai nostri figli perché se non si apprezza la frugalità sin dall’infanzia difficilmente lo si farà in seguito!

SCELTE DI FRUGALITA’

La scelta più economica per vestirsi con il minimo impatto è trattare i propri capi con cura, ripararli anche con l’aiuto di una sarta. Per ridurre gli sprechi e contrastare il consumismo si possono organizzare eventi di scambio di vestiario ed accessori tra amiche o partecipare agli swap party (feste in cui si barattano vestiti a costo zero) per informazioni: www.swapclub.it

don_chisciotte
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Ho visto un grande cartello pubblicitario che pubblicizza il seguente "evento":

Inaugurazione di un nuovo ed ampio parcheggio al supermercato Famila Store di Mestre (VE) - premi per tutti.

Io sono sempre più convinto che ci siano delle forti distorsioni nelle nostre menti. ‎

don_chisciotte
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Vi prego di guardare questo breve spot pubblicitario del supermercato Conad  

m.youtube.com

e di esprimere il vostro giudizio. Io pensavo di aver visto già il peggio, relativamente alla grande distribuzione, ma ora con l'aiuto del regista Pupi Avati,‎ sono stati fatti ulteriori  passi in avanti in questo percorso di involuzione . Ecco a voi la generazione del futuro!

irene70 - disiscritto
irene70 - disiscritto

Fa venire il diabete! La pubblicità sta diventando sempre più scollata dalla realtà: produce dei film di fantasia che con quello che deve pubblicizzare c'entrano praticamente zero, crea atmosfere (macchine che "emozionano", profumi e orologi che seducono come nessuno mai, supermercati dove appunto, con la fantasia succede di tutto -in bene ovviamente, e avanti così). L'unico reality che non verrà mai realizzato e che invece avrebbe un senso per poter scegliere in base a fatti e non finzioni, è proprio quello relativo alle caratteristiche reali di un prodotto da vendere. Forse un pubblicitario coraggioso per andare controcorrente, questo potrebbe fare oggi: elencare semplicemente le vere caratteristiche di un prodotto senza tanti diversivi e svolazzi. Attendiamo sfiduciati.

don_chisciotte
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A tale proposito leggo ora nel libro "Il Tao della Liberazione" di Leonardo Boff e Mark Hathaway: L'ideologia consumistica e' così pervasiva e vigorosa da essere diventata di fatto la cosmologia delle moderne società capitaliste. Con il termine "cosmologia" intendiamo la visione della natura, della realtà e della finalità della vita. Brian Swimme spiega bene la questione. Ricorda che nelle società tradizionali la sera i bambini sedevano attorno al fuoco ad ascoltare le storie degli anziani sulla nascita dell'universo, sulla comparsa degli esseri umani e sul posto che l'umanita' occupa all'interno della grande comunità terrestre. Dove avviene tutto ciò, oggi?, si chiede Swimme. Qual'e' la fonte della nostra cosmologia funzionale? Ecco la sua risposta: prendiamo i nostri figli, li teniamo al buio e accendiamo la TV, ma non ci sono programmi, c'e' la pubblicità. La pubblicità è il racconto cosmologico dei tempi moderni. La pubblicità, in forma molto sintetica, ci dice tutto ciò che conta: ci spiega la natura dell'universo, la natura dell'essere umano, da' dei modelli di riferimento. La natura dell'universo? Un deposito di materia prima. La natura dell'essere umano? Trovare un lavoro e comprare delle merci. L'uomo ideale? Uno che a bordo piscina sorseggia una Pepsi.

In sostanza sembra che siamo tutti ipnotizzati, sin dall'infanzia. Non percepiamo noi stessi ed il mondo attorno a noi‎ come realmente sono ma come siamo stati "persuasi" a vederlo.

irene70 - disiscritto
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Sì, pare essere proprio così, purtroppo. Penso che aiutare i bambini a percepire e riconoscere le 'cose' della natura , le stagioni, gli elementi sia invece fondamentale e comunque fattibile con un minimo di impegno anche nella nostra società ipertecnologica e televisiva. Certamente ci vorrà un po' di impegno nel concedere la televisione poco e il più tardi possibile ai bambini (eliminarla può essere la via più logica, ma non sempre sortisce il giusto effetto), cercando di evitare la visione della pubblicità (quindi non parcheggiandoli davanti ai programmi, ma al limite davanti a trasmissioni registrate e opportunamente private della pubblicità, tanto fino a una certa età i bambini amano vedere a ripetizione sempre gli stessi video, li rassicura, non servirà una cineteca enorme), ma a parte il 'problema tv' si può agire in vari modi. Intanto sfruttando ogni singolo momento all'aria aperta (ma anche in macchina, al semaforo, va bene: guarda là le nuvole a forma di... guarda i merli, guarda le gocce di pioggia che scivolano, ecc.) per mostrare loro e raccontare ogni elemento naturale in modo anche 'da favola' e condito con elementi 'magici' (Piero Angela va benissimo per gli adulti!). Poi gli elementi naturali possono essere portati in camera dei bambini: gli si attaccano figurine di lune, soli,stelle, nuvole, animaletti ecc. un po' dovunque (armadi, letto, soffitto...). Una cosa utilissima e consigliata per sviluppare la capacità sensoriale e di osservazione e percezione proprio degli elementi 'cosmici' è quello di costruire una specie di calendario settimanale dove il bambino deve annotare che tempo c'è ogni giorno, quindi attaccando le gocce di pioggia vicino al... lunedì! , le nuvole o il sole o la nebbia (tutte figurine precedentemente disegnate e ritagliate dai genitori-cosmografi ovviamente). E poi ci sono i libri, leggere tanto fin da subito, almeno dai cinque/sei mesi. (Certo, è forte la tentazione di eliminare con enorme soddisfazione la tv... ma poi per i bambini diventa un mito proibito che tanto vedranno dagli amici e dopo arriverà il computer e, secondo me, non si può sradicarli dalla società dove comunque devono imparare a vivere, meglio abituarli a un corretto uso di ogni cosa piuttosto che vietare).

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Anche la pubblicità di L'Arte di Abitare (un'agenzia immobiliare che ha diverse filiali nella mia zona) e' ispirata alla maternità e non è proprio il massimo della decenza, a mio avviso. Ci sono cartelloni pubblicitari enormi dove si vede il pancione di una donna incinta e lo slogan recita:"La tua prima casa. Noi ci saremo per tutte le altre". Mah, a me sembra che i "geni del marketing" siano a corto di idee e tutto ciò fa sorridere (oltreché essere di cattivo gusto).

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Ho un amico che lavora in un negozio di articoli per la sicurezza sul lavoro. In base ai prodotti che propongono, sinceramente il primo commento sarcastico che mi viene da fare dopo averli visti e':"lavorare e' pericolosissimo, meglio lasciar stare!". Infatti c'e' veramente di tutto per qualsiasi attività lavorativa: tute e guanti protettivi di ogni tipo, colore e dimensione, caschi di ogni genere, scarpe antifortunistica in quantità come un vero e proprio negozio di scarpe "normali", occhiali protettivi, mascherine per tutti i gusti e la lista completa sarebbe troppo lunga da trascrivere‎. Quello che però mi ha colpito maggiormente e' che le case produttrici di questi articoli, relativamente ai capi di abbigliamento, sono riuscite (o almeno stanno cercando di) creare una moda anche all'interno di questo settore. Le pubblicità risaltano come stiano bene indossate certe giacche da lavoro o come siano belle, colorate, con un bel design le scarpe antifortunistica etc. L'operaio, il montatore, lo stradino etc tutti diventano belli, sorridenti, interessanti, anche durante l'esercizio della loro professione, che ora non è più un lavoro solo di fatica ma anche un'occasione per sfoggiare i nuovi design aerodinamici delle loro tute all'ultimo grido. Certo io starò come sempre esagerando, però sono certo che c'e' un fondo di verità in quello che dico. E' un settore in forte espansione e le innovazioni sono continue e bisogna creare prodotti nuovi, interessare i lavoratori e vendere vendere e vendere...per la sicurezza sul lavoro, si intende eh! ‎

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Questo commento poteva stare anche sul Buona Pratica "Decrescere Felici" perché si tratta di una riflessione sui comportamenti degli esseri umani dediti agli acquisti superflui, che dovremmo cercare di ridurre per vivere con più sobrietà e inquinando di meno (decrescita felice appunto). Oggi sono passato per un mercato di paese ed ho osservato le signore che vanno a fare la spesa. A parte chi va al mercato per acquistare generi alimentari e' interessante notare le signore che si ammassano sulle bancarelle dei vestiti (più o meno tutti uguali per ogni bancarella) a prezzi specialissimi 5/10/15/20 euro alla disperata ricerca dell'occasione della settimana. Sembra che a ciascuna di queste signore manchi davvero qualcosa che cercano disperatamente e con estrema urgenza tale e' la velocità con cui vagliano i capi di vestiario (la patologia dovrebbe essere: tendenza maniacale, compulsiva e incontrollata all"acquisto). Io penso che solo una piccolissima percentuale di queste signore sta cercando un vestito di cui ha realmente bisogno, le altre cercano e comprano solo perché "costa poco e bisogna approfittare dell'occasione da non perdere".‎ Quindi la fobia all'acquisto a tutti i costi parte dal basso (i mercati cittadini) e arriva ovunque (centri commerciali e negozi di alta moda), ne siamo tutti condizionati/schiavi/piacevolmente illusi. Sensazione di felicità della durata molto breve dato che, relativamente al mercato cittadino, la settimana successiva le signore con buone probabilita' saranno nuovamente alla sfrenata ricerca ‎del bel vestitino a prezzo stracciato. Un mio caro amico non ce la fa più...sua moglie avrà più di 100 paia di scarpe a casa (anche dello stesso modello ma di colori diversi).‎ ‎

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Testo della canzone "Ha perso la Città" di Niccolò Fabi.

www.youtube.com/watch?v=rbtKkMHcFxI‎

Hanno vinto le corsie preferenziali ‎ hanno vinto le metropolitane  hanno vinto le rotonde e i ponti a quadrifoglio  alle uscite autostradali  hanno vinto i parcheggi in doppia fila  quelli multi-piano, vicino agli aeroporti  le tangenziali alle 8 di mattina e i centri commerciali  nel fine settimana  hanno vinto le corporazioni infiltrate nei consigli comunali  i loschi affari dei palazzinari  gli alveari umani e le case popolari  e i bed & breakfast affittati agli studenti americani  hanno vinto i superattici a 3.000 euro al mese  le put*ane lungo i viali, sulle strade consolari  hanno vinto i pendolari  ma ha perso la città, ha perso un sogno  abbiamo perso il fiato per parlarci  ha perso la città, ha perso la comunità  abbiamo perso la voglia di aiutarci. Hanno vinto le catene dei negozi  le insegne luminose sui tetti dei palazzi le luci lampeggianti dei semafori di notte  i bar che aprono alle 7  hanno vinto i ristoranti giapponesi  che poi sono cinesi anche se il cibo è giapponese  i locali modaioli, frequentati solamente, da bellezze tutte uguali  le montagne d’immondizia, gli orizzonti verticali  le giornate a targhe alterne e le polveri sottili  hanno vinto le filiali delle banche, hanno perso i calzolai  e ha perso la città, ha perso un sogno  abbiamo perso il fiato per parlarci  ha perso la città, ha perso la comunità ‎abbiamo perso la voglia di aiutarci.‎

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Sono passati oltre tre anni da quando è stata inserita questa Buona Pratica. Ci sono solo 13 "contami" e nessun "lo faro". Cioe' non c'e' nessuna persona iscritta a Contiamoci che desidera iniziare a rinunciare, con qualche piccolo gesto, al consumismo. E' veramente così? E' veramente così difficile prendere in considerazione e mettere in atto questa Buona Pratica?

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Ho visto una comitiva di bambini delle elementari in gita...al centro commerciale‎! Lo scopo era quella di visitare una mostra di piante "Il mio piccolo orto" con varie attività educative e probabilmente, secondo me, con la finalità di imparare "anche tante altre cose" a cui il centro commerciale tiene particolarmente in previsione della crescita dei bambini che saranno i prossimi discepoli del centro. Ovviamente mi ha fatto un certo effetto vedere questa cosa (si è capito vero?). Che i genitori portino i bambini troppo spesso al centro commerciale e' un dato di fatto, ma che prevedano queste uscite gli istituti scolastici mi preoccupa decisamente. Cosa ne pensate?  Sono io che sono troppo "vecchio stile"? ‎

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La Favola del consumista disperato. ‎ Correva l’anno 1705. Bernard de Mandeville scrive il poema satirico “The Fable of the Bees”. La favola racconta di un alveare di api che viveva tanto negli agi e nella prosperità quanto nella disuguaglianza sociale. Le api abbienti si disperdevano nei fumi del lusso e del consumo irrefrenabile. Superbia, avarizia ed ingiustizia regnavano sovrane in questo ricco e fiorente alveare. Di colpo, tutte le api si convertono e “l’onestà colma i loro cuori e mostra loro, come il famoso albero, quelle colpe di cui esse si vergognavano e che in silenzio ora confessano, arrossendo per le loro cattiverie, come bimbi, che vorrebbero nascondere una monelleria e, col rossore, rivelano i loro pensieri, immaginando, se qualcuno li guarda, che gli si legge in fronte quel che hanno fatto.” Tuttavia, proprio quando la vanità ed il lusso abbandonano l’animo delle piccole lavoratrici, l’intero alveare cade in una veloce e irreversibile crisi economica. Nessuno compra più. Il tribunale è vuoto perché ognuno vive onestamente ed in pace. L’accontentarsi del proprio livello di beni materiale conduce l’intera industria nella rovina, provocando il fallimento dell’intero alveare. Se l’iperconsumo, l’avarizia e l’egoismo le portavano alla prosperità; la virtù, l’eudaimonia aristotelica, cioè la felicità del “giusto mezzo”, deteriorano, fino al fallimento, l’assetto economico.

E i processi raccontati da Mandeville descrivono, con un’attualità stupefacente, il modo in cui l’uomo di oggi vive, pensa e si relaziona con l’atto del consumo. L’autore ci vuole dire che più l’uomo (o le api se volete) è integro e virtuoso e più debole sarà lo sviluppo economico della società in cui vive. Al contrario, più l’uomo è guidato da istinti egoistici e comportamenti inconsapevoli e più avrà bisogno di compensare il proprio vuoto esistenziale e morale con beni superflui e soddisfazioni effimere, stimolando la produzione industriale e, di conseguenza, la crescita economica.

Il nostro sistema economico richiede un essere umano, in definitiva, poco umano. Perché è proprio la distorsione delle virtù più umanizzanti e la strumentalizzazione delle relazioni umane che ci spinge a cercare nel consumo, che mai sazia, una pienezza di vita. Ed è il vizio dell’individuo, per usare un termine così caro al filosofo olandese, la sola e più efficiente condizione per lo sviluppo economico, almeno per come lo stiamo intendendo in quest’epoca. Abbiamo trasformato un sano “voler sempre di più” che caratterizza positivamente l’essere umano in un frenetico soddisfacimento di una fame vorace di oggetti. Una bulimia costitutiva sembra, quindi, caratterizzare le fondamenta di questo modello di produzione e di consumo: una domanda che deve sempre crescere all’infinito e un’offerta che deve inventare e creare sempre più bisogni da soddisfare per non collassare su se stessa. Bisogni che non esistono e che, quindi, non generano “utilità” reale nella psiche umana, ma che, anzi, la illudono, la umiliano e la spolpano.

In un certo senso la nostra economia ha bisogno di uomini e donne che si buttano come fiere sul prodotto più nuovo e lo comprano e lo consumano fino al vomito o, meglio, fino a quando la sua energia ammaliatrice si sarà esaurita e noi ci getteremo come pazzi affamati sul prodotto ancora più nuovo, più luccicante e più bello; quello che ci illudiamo possa finalmente soddisfarci. E purtroppo la storia di Mandeville è tragicamente reale. La nostra concezione di sviluppo è costituita, già nella sua archetipica strutturazione, da un vortice infernale, per cui l’uomo si deve struggere e annientare, inseguendo un’infinita illusione consumistica. Affinché questo sistema risulti efficace, tuttavia, l’uomo deve essere gettato in uno stato di totale confusione e solitudine; devono essere, in poche parole, indebolite le sue capacità intellettive e relazionali. Perché è proprio in quello stato di distrazione endemica e di depressione sociale che la potenza dell’illusione può risultare più convincente. E sul ruolo che svolgono i vari Mass Media ai fini di questa manipolazione di massa, rimando al lavoro di Noam Chomsky.

L’essere umano ormai slegato da ogni relazione, svuotato da ogni aspirazione, rigettato nella deficienza del pensiero, annebbiato da un’informazione disinformante, si getta su un consumo isterico e nevrotico, che lo tiene dipendente come un gatto afferrato alla collottola. Molti sono gli studi, infatti, che testimoniano quanto nella società odierna il consumo abbia assunto le caratteristiche della dipendenza (consumption addiction): il prodotto non è visto più come un mezzo, ma come una fonte di effimera salvezza.

Se ci pensiamo bene, tuttavia, la vicenda è molto ovvia e naturale. Ed è proprio questo il motivo per cui, personalmente, non sento un istinto di biasimo verso un atteggiamento così diffuso specialmente tra i più giovani. O meglio, nutro quella che Pasolini avrebbe chiamato comprensione-compassione. Una semplice osservazione delle nostre abitudini ci dimostra di quanto tutti noi cerchiamo una ragione di senso che vada oltre il soddisfacimento dei nostri bisogni primari (mangiare, bere, riprodursi). L’uomo è il solo essere che non ha chiaro il motivo per cui è su questa terra. Ed è proprio questa confusione esistenziale che lo spinge a cercare qualcos’altro. Un quid che possa dare senso alla quotidianità; cioè, semplicemente, un qualcosa che possa fornire un motivo valido per continuare ad alzarsi la mattina. Purtroppo l’uomo di oggi non riesce ad incarnare attivamente questa spinta di ricerca che contraddistingue la sua natura. L’impressione è che oggi ci sia una progressiva tendenza all’intontimento sociale e, a dispetto dell’impulso vitale che, di fatto, ci anima, siamo circondati da una totale mancanza di prospettive culturali e di visioni politiche. E forse è proprio questo elettrocardiogramma piatto del nostro Mondo che fornisce, come unica alternativa, un ripiegamento su un consumo infinito, superficiale e, quindi, mortale. Quando ormai tutti i principi di valore e di senso sono delegittimati, solo l’atto dell’acquisto o dell’avere assume un ruolo identificativo della persona: “Io esisto perché acquisto”. Ecco perché, oltre le valutazioni morali che si possono compiere, solo una credibile rivalorizzazione dell’essenza relazionale e civica dell’essere umano accompagnata da una profonda critica dei modelli antropologici che oggi assumiamo nei vari modelli economici può, a mio avviso, ridare speranza e vigore alla nostra società; affinché la persona si possa liberare dai meccanismi d’inganno consumistico, e possa rilanciare la sua esperienza di vita, di relazione e di auto-realizzazione su questo Mondo.

GABRIELE GUZZI‎

‎Fonte: madamalouise.com

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Un interessante e simpatico monologo di 5 minuti sul tema del consumismo (produci, consuma e...crepa!) di Ascanio Celestini m.youtube.com

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UN NATALE SENZA ECCESSI "Un fantasma si aggira fra gli abitanti del mondo liquido-moderno e fra tutte le loro fatiche e creazioni: il fantasma dell’esubero». Così Zygmunt Bauman in “Vite di scarto” (Laterza, 2007). Con l’approssimarsi del Natale consiglio di leggere il più acuto studioso della società postmoderna. Nessuno meglio di lui ha saputo interpretare l’attualesistema economico-industriale, ideato in modo tale che i desideri non abbiano mai fine per evitare la stagnazione del mercato. Questo, in estrema sintesi, è il nervo centrale del pensiero di Bauman. L’autore di “Consumo, dunque sono” e di “Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi” parla senza mezzi termini di una società che fa del consumo la chiave di volta della realtà. Perfino la formazione dell’identità dipende da ciò che si consuma e tutto viene trasformato in merce. Oggi l’uomo vive fra le pieghe di una vita frenetica e vuota, diventando l’attore inconsapevole di una farsa grottesca per conquistare visibilità. Secondo il sociologo e filosofo polacco, la modernità liquida nella quale siamo immersi è frutto di una civiltà dell’eccesso e dello scarto. «Consumiamo ogni giorno senza pensare, senza accorgerci che il consumo sta consumando noi e la sostanza del nostro desiderio. È una guerra silenziosa e la stiamo perdendo». Ricordiamocene nelle prossime settimane.

Fonte: rivistanatura.com

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La differenza tra consumo e consumismo espressa da Julio Garcìa Camarero ilcambiamento.it

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Ho trovato per terra un foglio con un racconto di un bambino delle elementari.

Tema: tra i tanti ricordi che affollano la mia mente, uno in particolare e' indelebile e quando ci penso mi sembra di rivivere quella situazione.

Svoglimento: Tra i tanti ricordi, ne ho avuti alcuni belli e alcuni brutti. Il ricordo che racconto e' stato molto felice perche' mi avevano fatto un regalo. Il giorno del mio compleanno andai da mia zia e facemmo la mia prima festicciola con gli amici mangiando e bevendo di tutto: patatine, ciambelle, pizzette, coca colla, aranciata e chinotto. Quando finimmo di giocare usci' dal bagno la mia mamma con una torta e cantando:"tanti auguri a te" e con un pacco regalo che quando lo aprii e dall'emozione non riuscii a parlare da quando ero contento, vidi il gioco che sognaii per una setttimana: la play station 2 poi la montammo e iniziai subito a giocare con il gioco nuovo di calcio: fifa 08. Quel gioco era stupendo, ero gia' bravo perche' era molto facile e vincevo sempre. Questo ricordo spesso mi riviene in mente con gioia e lo rivivo come se rifossi li in quel momento e tornassi indietro nel tempo!

"Analisi critica" di chi ha trovato questo racconto (cioe' io): Ok e' un bambino delle elementari ma proprio per questo notare come l'innocenza va di pari passo alll'indottrinamento alla "facile" societa' dei consumi: - "mangiando e bevendo di tutto: patatine, ciambelle, pizzette, coca colla, aranciata e chinotto". Il bambino da' molta importanza all'abbondanza del cibo e indentifica gia' con il suo nome commerciale la bevanda gassata per eccellenza (di questo non avevo dubbi visto che succedeva anche a me da bambino). - racconta che la mamma usci' dal bagno (???) con la torta, il che e' decisamente strano, ma non se ne cura, tanta era l'emozione per il regalo che stava ricevendo. - il bambino racconta dell'emozione e dice che sognava la play station da una settimana, denotando un suo fortissimo desiderio per questo gioco. - il bambino e' abituato alla numerazione dei giochi. Non parla di playstation generica ma di "playstation 2" e del gioco "fifa 08", si nota quindi gia' la predisposizione all'accettazione dei modelli successivi ed aggiornati (nella vita adulta sara' iphone 5, iphone 6). - il bambino descrive quel momento come talmente pieno di gioia ed emozione che evidentemente ha dentro di se' il desiderio di rivivere presto tanti altri momenti simili. - il bambino dice che il gioco era stupendo ma semplicemente perche' era gia' bravo, era facile e vinceva sempre. Anche questo fa pensare perche' lui e' contento ma perche' praticamente non deve fare nulla, sa gia' giocare, e' molto bravo vince sempre. Ma se fosse stato un nuovo gioco, un po' difficile da imparare e dove non sempre avrebbe vinto, sarebbe stato felice ugualmente? Il discorso del "è facile e vinco sempre" è una tendenza generalizzata nei giochi (e di riflesso anche nella società): i giochini da bar di quando eravamo piccoli erano difficilissimi (perchè le partite dovevano durare poco, così mettevi dentro un altro gettone), ma insistendo (e spendendo) alla fine uno con 200 lire giocava anche 20-30 minuti. Un ragazzino di oggi non riuscirebbe a durare 2 minuti, non tanto perchè più stupido, ma proprio perchè non abitutato allo "sforzo" per ottenere qualcosa. Se il gioco lo annoia, perche' troppo complicato, passa ad un altro giochino sul cellulare dove per vincere basta semplicemente spendere soldi per acquistare più poteri o opportunità di vincita (altro business colossale). Estendi il concetto al resto del mondo e hai, per esempio, i genitori che se i figli prendono una nota o un brutto voto vanno a protestare. Noi invece se tornavamo a casa con una nota erano guai seri...eccetera eccetera...

Ma guarda cosa mi va a capitare, proprio io dovevo trovare questo tema per rovinarmi la giornata? Non potevo certo evitare di fare l'analisi critica!

cbertolini90
cbertolini90

Mi sono infuriata l'altro giorno quando su un forum di fotografia ho chiesto dove poter mandare il mio obbiettivo che ahime' ha dei problemi e quindi lo zoom non funziona piu' (ma scatta e non ha altri problemi). La prima risposta ricevuta e' stata : ah ma molto probabilmente ti costera' di meno comprarne uno nuovo. Cosi perdiamo posti di lavoro (di chi e' specializzato in aggiustare oggetti) e per non parlare dell'impatto ambientale e tutto il resto. Bisognerebbe riuscire a cambiare un po' di mentalita', che non sempre quello che costa di meno ed e' piu' facile da fare e' anche il piu' giusto da fare...

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Ciao cbertolini90, anche tu, come migliaia di cittadini ogni giorno, sei stata vittima dell'obsolescenza programmata. Qui la Buona Pratica apposita "Riconoscere e combattere l'obsolescenza programmata" contiamoci.com Vedi se può interessarti scrivere all'azienda (che ti sta legalmente truffando) una e-mail in cui esprimi il tuo disappunto per il fatto che lo zoom non è riparabile e la tua decisione quindi di orientare il nuovo acquisto verso altre ditte o altro che ti verrà in mente. Grazie e ciao!

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Relativamente all'argomento di questa Buona Pratica, consiglio l'ascolto dell'album "Un idiozia conquistata a fatica" di Giorgio Gaber (stagione teatrale 97/98, 98/99, 99/00). Il tema centrale dello spettacolo, e' lo stretto rapporto di causa-effetto che intercorre tra l'inarrestabile espansione del mercato e lo scadimento delle coscienze. Sempre piu' assuefatte al consumo e alla totale dipendenza della produzione. Riaffiorano temi e riflessioni gia' presenti in "Liberta' obbligatoria" (anche di questo consiglio l'ascolto), spettacolo degli anni '70, in un certo senso fondamentale. E' come se un pericolo allora solo paventato si fosse oggi inesorabilmente trasformato in una realta' concreta sotto i nostri occhi. In questo quadro che sembrerebbe non prevedere vie d'uscita, si impone all'individuo l'arduo compito di mantenere un precario, ma consapevole equilibrio che gli consenta di dare un senso alle sue azioni quotidiane. (Giorgio Gaber e Sandro Luporini).

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Ribaltiamo il concetto di "consumatore" cosi' come ha suggerito Maurizio Pallante nel suo libro "La decrescita felice - la qualita' della vita non dipende dal PIL". Il "consumatore" cosi' diventa colui che consuma i propri beni per anni e anni prima di gettarli, i cui indumenti gli sono serviti per anni nelle relazioni sociali prima di essere lisi, che dopo essere stati consunti dall'uso gli servono come indumenti casalinghi per altri anni, prima di diventare stracci, che gli serviranno per pulire la casa e gli attrezzi da lavoro. Trasformiamo il significato della parola "consumatore" che viene utilizzata per indicare i soggetti che esprimono la domanda in un sistema economico che, per continuare a crescere, deve sostituire le merci quando ancora possono essere usate per anni e le trasforma in rifiuti in tempi sempre piu' brevi, rappresentando una mutazione antropologica degradante sia dal punto di vista dell'intelligenza, sia dal punto vista della morale. Quanto sopra e' tratto dal libro di Pallante citato sopra. Il "consumatore" diventa quindi colui che consuma, fino all'osso, quello che ha gia'. E questa nuova interpretazione della parola mi piace molto. Complimenti a Pallante per l'intuizione!

irene70 - disiscritto
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Ho letto questo oggi doveridiritti.wordpress.com (tramite Fb) e quanto ha ragione Bauman (che dice anche molto altro di interessante).

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Grande Zygmunt! Il suo discorso non fa una piega. Chiaro e limpido e quindi facilmente comprensibile da tutti. Da far circolare. Grazie.

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Letto (il libro "Io non compro" qui sotto nei commenti col blog Vivere Semplice), e concordo con quanto scritto da Sabrina in quella recensione (l’ideale compromesso tra comprarlo e non comprarlo, poi, è trovarlo in biblioteca!); è una lettura davvero interessante e come le altre (ce ne sono parecchie ormai) di questo tipo fa davvero venire voglia di cominciare a cambiare e di seguire almeno in parte l'esempio. Certo, sono tutte esperienze riferite di solito a un anno di tempo e forse non tutto potrà essere messo in pratica per sempre, ma in ogni caso sono libri che fanno pensare al cambiamento soprattutto nel pensiero, l'importante è leggere senza atteggiamento scettico. Libro fortemente consigliato!

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Altri buoni consigli per la fine del consumismo lacapannadelsilenzio.it

Limitiamo i consumi e cominciamo a decrescere serenamente

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Un libro da comprare o da NON comprare pero' leggete la recensione vivere-semplice.org

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C’è un passo significativo di un’intervista televisiva che Pier Paolo Pasolini rilasciò alla RAI il 20 ottobre del 1973. Sosteneva che il nuovo potere prodotto dalla seconda rivoluzione industriale “non vuole più che (l’uomo) sia un buon cittadino, un buon soldato, non vuole che sia un uomo onesto, previdente, non lo vuole tradizionalista e nemmeno religioso”. Il “nuovo Potere vuole che esso sia un consumatore”. Solo e soltanto un consumatore. Eguale dappertutto, con i valori appiattiti, i veri desideri spenti e un conformismo standard. Consumatore ma anche produttore, in un circolo vizioso sempre più stringente, dove non si conosce più il tempo del lavoro e quello della festa. Bensì il tempo del lavoro e quello del consumo.

Tratto da adolfoleoni.wordpress.com

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Un buon atteggiamento (credo) per contrastare il culto dell'apparire legato alla mentalita' consumistica (e per indurre ad una riflessione sull'argomento senza essere troppo "paranoici" e pragmatici) e' quello di riporre molta piu' attenzione alle persone e molto meno alle cose (delle persone). E cioe' far capire esplicitamente ai nostri amici, parenti, conoscenti che li apprezziamo per quello che sono e non per quello che hanno. Se abbiamo una certa confidenza, possiamo farlo anche in modo brusco se tra questi c'e' qualcuno che palesemente si vanta di avere qualcosa per farsi bello agli occhi degli altri. Con la speranza che possa giungerli il messaggio che non ha bisogno di ostentare quella cosa per avere la nostra approvazione o sentirsi appagato, perche' gia' e' detentore della nostra stima, indipendentemente da cio' che possiede. Mi rendo conto che c'e' il rischio di offendere qualcuno, ma sta alla nostra sensibilita' capire quando il contesto ci consente di fare cio', usando ovviamente le parole giuste. Ma soprattutto non colpevolizziamo troppo una persona (magari parlandone male alle spalle) perche' e' troppo piena di se', perche' ostenta, perche' e' materialista, etc Pensiamo semplicemente che anche lei, come tante altre (...e come forse un tempo anche noi), e' vittima di un sistema che l'ha inconsciamente plagiata a questa logica assurda e che forse per questo ha bisogno anche di aiuto. E se anche noi possediamo qualcosa che puo' in qualche modo attirare l'attenzione, non ostentiamola e non diamo importanza ai complimenti che gli altri ci fanno. Anzi minimizziamoli, e addirittura quando possibile diciamolo pure chiaramente: "preferirei che mi apprezzassi per quello che sono che per quello che ho".

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Nel periodo natalizio le campagne pubblicitarie dei centri commerciali impazzano. Cartelloni pubblicitari enormi ovunque, pubblicita' su quotidiani a tutta pagina, etc. Nella mia zona e' divertente vedere una vera e propria guerra tra Auchan, Vallecenter, Nave de Vero, Emisfero. Ognuno con le piu' belle proposte di intrattenimento e slogan accattivanti ("Basta stress da regali, passa da noi un Natale in relax!). Ricordiamoci che tutte queste campagne pubblicitarie hanno un costo cosi' come gli artisti e gli spettacoli proposti in questi luoghi. Questi costi ricadono sui prodotti venduti direttamente dal centro commerciale e sui negozi presenti all'interno che ricaricheranno i prezzi della loro merce. Come sempre nel mondo, anche in questo caso la pubblicita' e' pagata dal consumatore finale. Sarebbe bello rovesciare il concetto della pubblicita' e cioe': piu' pubblicita' farai meno clienti avrai, perche' i clienti non vogliono pagarla. Ma questo purtroppo e' al momento impensabile. Ribadisco che le mie considerazioni non hanno (...purtroppo) l'obiettivo di cambiare il mondo ma forse qualcuno che capita casualmente su Contiamoci potrebbe risvegliarsi dal letargo e prendere coscienza di cio' che accade attorno a noi, di come funzionano "le cose" che ogni giorno ci condizionano. Quella coscienza che anch'io avevo perduto e devo ancora capire chi devo ringraziare per averla risvegliata.

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Un altro aspetto triste dei centri commerciali (e del consumismo) e' quello di adottare nomi appartenuti a famosi artisti del passato: Giotto, Donatello, Michelangelo, Tiziano, Lenoardo, etc Pero' nessuno di questi centri commerciali si azzarda a chiamarsi, per esempio, Dylan, Springsteen, McCartney, Lennon, etc perche' ovviamente arriverebbe subito la querela (forse fra cento anni lo potranno fare...). Sinceramente, entrare in un centro commerciale che si chiama Tiziano (si trova vicino a Treviso) con tanto di logo con la tavolozza del pittore senza trovarvi nulla di artistico all'interno che possa essere equiparato alle opere del grande maestro, beh...mi fa un po' ridere (o piangere!).

irene70 - disiscritto
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Sì, fa un po' ridere... e in effetti sarebbero più attinenti e creativi nomi nuovi creati apposta (ma per fortuna per questi musicisti, mi sa che non vedremo mai un centro "Jimi H." o "BMarley" o "Johnlennon": dovrebbero essere troooppo alternativi rispetto allo standard dei centri commerciali!).

irene70 - disiscritto
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Riguardo a consumismo e Natale... oggi al supermercato stavano "vestendo" con metri e metri di carta/plastica lucida, tipo quella da regalo (che poi sarà gettata) parecchi bancali per esporre in modo natalizio i vari prodotti... giuro che (mentre mi cadevano le braccia) mi siete venuti in mente voi di Contiamoci e le pratiche antispreco (e questo un po' mi ha consolato), però davvero ho visto in un attimo vanificarsi parecchi sforzi e soprattutto lì fuori c'era una ragazza che, in ogni caso (bisogno vero o indotto), chiedeva la carità... non c'è alcun senso...

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Ti ringrazio per aver pensato a noi. L'unico senso che trovo in quello che dici e' in una similitudine con il mondo animale. Oramai sembra che ogni supermercato o centro commerciale debba avere al di fuori il mendicante di turno o l'extracomunitario che ti chiede di riportare il carrello indietro al posto tuo. Ecco, mi vengono in mente i piccoli pesci che nuotano gravitando tutta la vita attorno ad un unico pesce piu' grande per cibarsi dei suoi scarti. Con la differenza pero' che i pesciolini seguono un istinto naturale mentre gli uomini vi sono spinti dalla miseria e dalla disperazione.

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Cliccando su questo link bbrblog.weebly.com troverete una durissima critica al Natale, trasformato in un Festival dell'Ipocrisia dal consumismo. E' una critica estrema che non lascia spazio alcuno. Il mio consiglio e' di leggerla e di cogliere cio' che c'e' di buono per noi (per qualcuno puo' essere tutto buono per altri meno) per riflettere sull'argomento in vista dell'avvicinarsi del Natale

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Ho trovato in rete questo articolo esaustivo sul consumismo giovanile: bambini facili prede del marketing e della pubblicita'...piu' teniamo alta la guardia meglio e' lifestyle.tiscali.it

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Riflessione: manca ancora molto tempo a Natale. Natale è il 25 dicembre anzi...era il 25 dicembre. Oggi il Natale è il giorno più lungo dell'anno perchè inizia i primi di novembre (ma anche prima) e termina dopo il 6 gennaio. Cosa può lasciare nel cuore degli uomini questa ricorrenza che si è trasformata nel più grande manifesto dell'era consumistica? Forse ancora qualcosa si può salvare, il vero Natale è dentro di noi, ritroviamolo.

irene70 - disiscritto
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Riflessione giustissima Don, dà vita a mille domande. (mi hai dato lo spunto per un consiglio inserito nella bp "Adotta un pezzo di stoffa" anche se l'ho un po' deturpata -come faccio sempre virando verso il campo pratico- sorry...).

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Ma certo che l'ho vista, altro che "sorry" sono gli utenti di contiamoci che devono dire "thanks" a te per il tuo grande senso pratico. Oggi sono in fase riflessiva e, rimanendo sul tema precedente, osservando le persone che passeggiano nei centri commerciali, magari senza una scopo preciso, ma semplicemente alla ricerca di qualcosa da consumare, dell'occasione imperdibile ed inaspettata, mi chiedo:"Come si può far loro capire che potrebbero essere altrove, in un campo, dentro a una chiesa, un museo, una biblioteca, etc e sentrisi molto meglio? Semplicemente liberi, perchè, come dice Silvano Agosti, i veri schiavi sono coloro che non sanno immaginarsi più la liberà. Come spiegare loro che le vere "occasioni" stanno altrove e non in un centro commerciale, perchè la vita se vuoi te le offre ogni giorno?

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Questa non so chi l'ha scritta perchè l'ho trovata annotata in un mio libretto di appunti ma senza l'informazione dell'autore, però sta bene qui (e forse qualcuno leggendola potrà risalire all'autore): "L'infelicità non è un effetto collaterale della società moderna, ma il pilastro su cui si regge il sistema economico. La felicità non compra e non sente neanche il bisogno di produrre. Ma se le persone sono infelici, compreranno e lavoreranno, consumeranno e produrranno".

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Tratto dal libro "L'Ecologia della Libertà" di Murray Bookchin (1982): Nel centro commerciale, con i suoi mastodontici parcheggi, la sua esiguita' di personale, le sue musichette furbastre, il suo rutilante schieramento di merci sugli scaffali, i suoi elaborati sistemi di sorveglianza, la sua mancanza di calore e interscambio umano, le sue confezioni crudelmente ingannevoli, le sue lunghe file di registratori di cassa che indifferentemente ed impersonalmente registrano il processo di scambio - tutto parla d'uno snaturamento della societa' a livelli di vita che sono un grave affronto ad ogni sensibilita' umana ed alla sacralita' di quei beni che sono destinati a conservare la vita stessa. Cio' che e' di cruciale importanza e' che questo mondo s'insinua tanto nella vita personale quanto in quella economica. Il centro commerciale e' "l'"agora'" della societa' moderna, il centro civico di un mondo totalmente economico ed inorganico. Penetra in ogni rifugio personale ed impone la sua centralita' ad ogni aspetto della vita domestica. Le autostrade che portano ai suoi parcheggi ed ai suoi centri di produzione divorano le comunita' ed i quartieri; la sua strapotenza divora i negozi gestiti a livello familiare; il suo estendersi e proliferarsi divora la terra coltivabile; gli autoveicoli che portano i fedeli ai suoi templi sono scatole chiuse che impediscono ogni contatto umano.

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E' certamente utile riflettere sulla programmazione degli intrattenimenti "gratuiti" nei centri commerciali: eventi con la presenza di artisti (...si fa per dire) conosciuti da un certo tipo di pubblico televisivo (principalmente bambini e adolescenti), iniziative esclusivamente dedicate ai bambini (in modo da abituarli alla "socialita'" del centro commerciale) compresa l'organizzazione a pagamento della festa di compleanno e quantaltro. Il tutto per, ovviamente, rendere il consumo piu' divertente e disimpegnato, anzi gradevole. A mio avviso questo e' una degli aspetti piu' subdoli della grande distribuzione perche' l'intrattenimento offerto ha un diverso ed unico scopo, immediato ma sopratutto futuro. Immediato perche' chi viene a partecipare all'evento certamente qualcosa poi compra/consuma e futuro perche' si forma la mentalita' delle persone, e soprattutto dei bambini, di una vita non svincolabile dal centro commerciale che si trasforma in meta di svago e pellegrinaggio (che diventa in alcuni casi una Via Crucis per l'intasamento delle strade a causa di inaugurazioni o festivita'). Una vita fatta di marchi esposti in vetrine luccicanti che lascera' tutti insoddisfatti, infelici ed in alcuni casi, purtroppo, soli. Non cadete in questa trappola, portate i vostri bimbi a divertirsi altrove.

irene70 - disiscritto
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Hai ragione Don, "piccoli consumatori crescono"... se almeno chiamassero come testimonial qualcuno che ha veramente qualcosa de dire invece di stelline e stellini della televisione (ce n'è stata una proprio questa settimana dalle mie parti con non so che "personaggia") si potrebbe tentare un allargamento dell'orizzonte dei centri commerciali ma portare i bambini a questi inaugurazioni/circhi è effettivamente poco istruttivo e anche triste.

don_chisciotte
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Irene, eccoti pronto "l'allargamento dell'orizzonte"....in certi periodi questi centri commerciali ospitano nei corridoi (quindi compresi tra i negozi delle galleria) delle bancarelle tipiche di prodotti di artigianato e di generi alimentari della zona. Sono le stesse bancarelle che si trovano nelle piazze durante le festività o durante feste/sagre paesane. E' evidente quindi la volonta' di ricreare anche quell'aspetto tipico paesano all'interno della cattedrale del consumismo per allargarne sempre di più il consenso. Con la differenza che: non c'è una chiesa ed un campanile, non c'è un museo, non c'è una biblioteca, non c'è una scuola e soprattutto non c'e' comunicazione tra le persone. A parte l'ultima che ho citato le altre "mancanze" potrebbero anche venire inserite in futuro...la farmacia esiste già, qualche mostra viene proposta, una piccola biblioteca l'ho già vista in un centro commerciale della Coop (sai com'è...sono di sinistra...), mentre per la scuola (c'è gia la palestra...) e la Chiesa beh, ci staranno certo pensando!

irene70 - disiscritto
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Sì, i centri commerciali sono fatti proprio in modo da ricreare l'aspetto delle piazze, soprattutto le nuove "città degli acquisti" cioè quelle degli outlet... Però la biblioteca della Coop non è una cosa negativa: mi è venuto in mente che c'è anche alla Coop dove vivo io e l'ho vista anche in una Coop in montagna, e presumo ce ne saranno un po' dappertutto: si possono lasciare i propri libri (non so se solo i soci, però) e prenderne altri, quindi segnaliamolo, è un altro modo per "dare una seconda vita ai libri"; se poi la Coop in questione si trova dentro a un centro commerciale, in ogni caso quella della minibiblioteca rimane una buona iniziativa (ma i centri commerciali li detesto anch'io!).

don_chisciotte
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In tema con questa buona pratica (consumismo ed obsolescenza programmata) e relativi commenti tra cui gli ultimi in ordine di tempo di granitas e irene70 relativi alle discariche di tecnologia obsoleta in Ghana a seguito del mio video postato, segnalo quanto segue: ieri in un centro commerciale della mia zona circa mille persone erano in coda per l'apertura di un nuovo Apple Store con le ultime novita' e relativi gadgets "a tiratura limitata". Addirittura c'erano una ventina di fanatici "applemaniaci" che erano accampati con il sacco a pelo per essere i primissimi ad entrare. Li chiamano anche "nerds" e geni del computer...Io non sono in grado di valutare, in termini numerici, la portata negativa o positiva di questo evento ma penso che se certi articoli servono inevitabilmente per il proprio lavoro certamente e' utile averli ma se diventa una mania, un gioco, un voler apparire a tutti i costi moderni allora vuol dire che elevare a miti certi prodotti sta diventando una specie di intossicazione. Se poi pensiamo che tra poco tempo, quel prodotto per il quale abbiamo pazientato ore in una coda sara' superato e gettato in discarica, allora ci sarebbe da analizzare anche il quoziente di intelligenza di tutti noi e ristabilire nuovi parametri...considerando anche che certamente tra quelle mille persone c'era chi ha difficolta' economiche, chi non ha un lavoro etc e che pero' non si sa come riesce a trovare i mezzi (magari rateando l'acquisto) per accedere all'ultima strepitosa novita' della telefonia (non sapendo che questa' ennesima novita', le precedenti e tutte le successive sono tutte studiate a tavolino...). Mi rendo conto che spesso i miei commenti non sono propositivi ma denotano semplicemente un attegiamento di denuncia di fatti accaduti...ma ogni tanto dobbiamo pur far suonare la sveglia!

irene70 - disiscritto
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mai smettere di indignarsi e denunciare, anche a costo di sembrare noiosi o "singolari"... questo lo sto imparando anche qui grazie a voi di Contiamoci :)

don_chisciotte
don_chisciotte

Ecco un bel documentario per capire bene come funziona l'obsolescenza programmata e i danni che provoca all'ambiente. Un'oretta spesa bene per cambiare mentalità youtube.com

irene70 - disiscritto
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Assolutamente da vedere! Ma quello che più mi ha colpita è il discorso del Ghana (usato come discarica per i nostri rifiuti elettronici e anche tossici per la presenza di elementi pericolosi): questa ulteriore perla del comportamento di noi occidentali ancora non la conoscevo bene... sarebbero immagini da far vedere per "distrarre" chi è in coda per l'iPhone n°? (ho perso il conto).

gretagolia_granitas
gretagolia_granitas

L'avevo visto un annetto fa, e la discarica in Africa è un'immagine che mi accompagna costantemente. Bisognerebbe farlo vedere nelle scuole medie e licei! Grazie @donchischiotte per averlo postato qui.

don_chisciotte
don_chisciotte

Cara granitas, relativamente al discorso di far vedere nelle scuole questi filmati vedi il mio commento su questa buona pratica (risposta a frabarenghi del 28 gen 2014). Qui si tratta di mantenere tutti in uno stato di "imbambolamento" generale e fino a che il nostro letargo continuera', tenendoci impegnati nella corsa alle ultime opprtunita' offerte dalla tecnologia (e non solo) purtroppo non si vedranno mai dei sostanziali cambiamenti.

don_chisciotte
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La Francia si muove contro l'obsolescenza programmata qualenergia.it

don_chisciotte
don_chisciotte

Oggi nella mia zona hanno aperto un nuovo centro commerciale. Sono arrivate decine di migliaia di persone, strade bloccate e code dalla mezzanotte per accapparrarsi le migliori offerte di elettrodomestci, cellulari, etc all'apertura mattutina. Mi limito a dare questa informazione perche' ogni commento penso che sia superfluo.

irene70 - disiscritto
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A proposito di modi di vivere controcorrente e più ecosostenibili, penso che molti di voi conoscano "Pecoranera" il libro di Devis Bonanni, che a 23 anni lascia l'impiego di tecnico informatico e diventa contadino a tempo pieno, realizzando una forma di autosufficienza alimentare e uno stile di vita frugale ed ecosotenibile; in Carnia, dove vive ha dato vita anche a un tipo di ospitalità-lavoro per chi fosse interessato a "toccare con mano" questa esperienza (c'è anche il sito "Pecoranera"). Purtroppo ho letto ieri nel giornale che la casetta di legno dove Devis ospitava i visitatori ha preso fuoco (si parla anche di incendio doloso). Spero che Devis non si lasci scoraggiare e continui nella sua avventurosa scelta, coraggio Devis!

don_chisciotte
don_chisciotte

Ciao, si conosco Pecora Nera anche se non ho letto il libro e sono certo che non mollera'! Approffito per segnalare un trattato dettagliato ed approfondito sul consumismo che ho trovato in rete "La crisi dell'uomo nella societa' dei consumi" di Mario Consoli. E' stato scritto molti anni fa, credo all'inizio degli anni 80, ma continua ad essere perfettamente attuale e dimostra come molte cose poi si siano verificate. E' un po' lungo (circa 28 pagine), quindi va letto con calma, analizzato frase per frase, sottolineato, riletto etc etc quindi fatelo con calma, prendetevi un po' di tempo, un po' alla volta. Trovate tutto qui uomolibero.com

irene70 - disiscritto
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Grazie per il collegamento, lo leggerò sicuramente.

frabarenghi
frabarenghi

avete già visto "la storia delle cose" di Annie Leonard su youtube.com ? lo scrivo anche perché qualcuno ha già citato su questo sito la storia dei cosmetici youtube.com della stessa autrice

don_chisciotte
don_chisciotte

Si Fra certo! La storia delle cose, dei cosmetici, dell'elettronica, dell'acqua in bottiglia. Sono tutte citate qua' e la' nelle buone pratiche di Contiamoci ma e' sempre bene ricordarle perche' qualcuno puo' non averle ancora viste....soprattutto sarebbero ideali per i ragazzi a partire dalle scuole medie. Sarebbe veramente utile farli vedere a scuola ma ho come il sospetto che... "qualcuno" sia contrario....quindi dobbiamo arrangiarci noi a diffondere piu' possibile. Grazie e ciao!

irene70 - disiscritto
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A questo proposito volevo condividere un pezzo del bel libro (che consiglio) di Sepulveda, "Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza": - La tartaruga ... raccontò (alla lumaca) che durante la sua permanenza presso gli umani aveva imparato molte cose. Per esempio che quando un umano faceva domande scomode, del tipo: "É necessario andare così in fretta?" oppure"Abbiamo davvero bisogno di tutte queste cose per essere felici?", lo chiamavano Ribelle. "Ribelle, mi piace questo nome!" sussurrò la lumaca... - W i ribelli allora!

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